Una presentazione disonesta del problema bioetico dell’aborto viene fatta da chi lo pone come una questione di autodeterminazione femminile e di padronanza del proprio corpo. Chi la mette in questi termini sostiene che voler impedire alle donne di abortire significa esercitare un potere sul loro corpo, e più in generale che la cultura pro-life sia una manifestazione di un pensiero autoritario patriarcale che desidera imporre alle donne costumi e ruoli sociali.
L’aborto come strumento di oppressione delle donne
In realtà questa cosa potrebbe avere un minimo senso se effettivamente il problema riguardasse solo le donne, in realtà però abbiamo dimostrato come non sia possibile far finta che il concepito non sia un altro essere umano coinvolto nel problema. Non è dunque legittimo ridurre la questione al diritto della donna di disporre del proprio corpo, visto che abortendo effettivamente sta disponendo anche del corpo, e della vita, del figlio. Per quanto riguarda l’oppressione patriarcale, basti considerare che inizialmente all’interno del mondo femminista molte militanti accolsero con ostilità l’aborto, perché lo ritenevano uno strumento del prepotente mondo maschile per disporre ancora meglio delle donne. Infatti una donna che resti incinta non ha più alcun diritto di reclamare un impegno dal padre del bambino, perché questi può sempre indirizzarla verso l’aborto, e il datore di lavoro parimenti non ha nessun pungolo morale che lo sproni a concedere congedi di maternità o cose simili, perché se la donna vuole conservare il posto è logico che rinunci a fare la madre.
In sostanza, l’aborto è uno degli strumenti che ha reso più potenti le pressioni dei seduttori e dei padroni senza scrupoli, che ha consegnato loro, chiavi in mano, le donne. La cosa poi ha danneggiato anche i maschi, abbassando i loro standard morali attraverso la graduale abitudine ad una sempre maggiore irresponsabilità.
La disponibilità del proprio corpo
Per quanto riguarda la disponibilità del proprio corpo, bisogna riconsiderare alcune cose che vengono date ingiustamente per scontate. Se è vero che in condizioni normali il corpo delle persone non può essere soggetto a controlli, è anche vero che in situazioni eccezionali ammettiamo senza problemi, o dovremmo ammettere senza problemi, che le cose stiano diversamente. Se si teme ragionevolmente una pericolosa epidemia le autorità devono avere il potere di obbligare un eccesso di cittadini recalcitranti alle vaccinazioni, per non parlare di cordoni sanitari, blocchi stradali, analisi mediche obbligatorie ecc. Quando la necessità lo richiede poi il nostro sistema giudiziario mette la gente in galera o la vincola alla propria abitazione, e se una persona viene trovata ferita e incosciente per strada è necessario soccorrerla anche se non ha potuto dare il proprio consenso, ecc. Ogni genitore poi dispone di continuo, autoritariamente, del corpo e dell’esistenza dei propri figli, generalmente con ottime intenzioni e con risultati positivi. Evidentemente quindi esistono situazioni in cui il corpo, entro certi limiti, può essere gestito da altri. Non è vero, come molti dicono, che la donna che mette a disposizione il proprio utero per un figlio che non vuole è come una persona obbligata a donare il sangue, per il semplice fatto che dalla donazione di sangue di un singolo individuo non dipende una vita che solo con quel sangue può continuare ad esserci, infatti il sangue necessario potrà sempre venire da altre fonti, mentre un embrione o un feto possono essere salvati solo dalla loro madre (a proposito, qualcuno ha anche sostenuto in modo del tutto arbitrario che il nascituro non sia umano, o comunque passibile di tutela, perché la madre non può affidarlo alle cure di altri, ma secondo questo ragionamento in una comunità isolata in cui un neonato può sopravvivere unicamente se allattato dalla madre l’abbandono del figlio sarebbe misteriosamente accettabile). Il giorno in cui sarà possibile espiantare il concepito e fargli continuare lo sviluppo al di fuori dell’utero allora sarà lecito decidere di non continuare a tenere il proprio figlio in grembo. Comunque le donazioni di sangue non sono obbligatorie ma non è detto che sia sbagliato renderle tali, di sicuro non è necessario ora, ma nell’eventualità che un giorno ci sia una penuria eclatante potrebbe essere una possibilità da accettare.
Naturalmente non accettiamo invece paragoni con la donazione di organi, che avviene da donatore in morte cerebrale o da persona in salute che però vede ridursi la qualità e le aspettative della propria vita in maniera irrimediabile e significativa. La donna che deve portare avanti una gravidanza invece, allo stato attuale della medicina, non va incontro a rischi per la salute significativamente maggiori di quelli insiti nella stessa pratica abortiva (infatti l’aborto ha i suoi rischi, si sappia!), anzi, e resta dunque in piedi soltanto la questione dell’eventuale sofferenza psicologica di chi non è pronta ad essere madre, ma su questo torneremo più avanti. Tornando al paragone con le donazioni, si tenga anche presente questa importante distinzione: una donazione, per esempio, di midollo osseo, è una situazione che si deve creare apposta, quindi è giusto lasciare che il possibile donatore scelga in coscienza se esporsi ai rischi di una tale donazione, la gravidanza invece, nel momento in cui è avvertita come foriera di rischi, è già in essere.