domenica 30 maggio 2021

Umanità e intangibilità del concepito

Ai pro-choice italiani del web facciamo presente, tra l’altro, che ai piani alti del dibattito bioetico internazionale generalmente perfino i sostenitori dell’aborto non negano più che feto ed embrione siano esseri umani e che l’aborto sia omicidio, basandosi la loro posizione più che altro sul ritenere lecita, in alcune circostanze, l’uccisione di un essere umano innocente. Ma dal momento che su questo punto ci troviamo un po’ indietro vale la pena esaminare tutti quegli argomenti che gli abortisti italiani scomodano di solito per negare umanità al concepito non ancora nato:

L’assenza di coscienza
In realtà il concetto di coscienza è così sfuggente e controverso che pensare di metterlo alla base di distinzioni e decisioni così importanti è pazzesco. Non solo non è ovvio accordarsi su cosa sia la coscienza, ma qualsiasi cosa sia, a voler essere rigorosi non possiamo arbitrariamente negarla al feto o all’embrione. Il pregiudizio sottostante a questa posizione è che la coscienza sia un prodotto del cervello, ed effettivamente entro un certo numero di settimane il concepito non ha ancora cellule cerebrali, e anche dopo che queste sono comparse ci vuole un po’ prima che il sistema nervoso del feto somigli a quello di un individuo umano già nato. Va detto che la legge consente in certi casi l’aborto anche quando il sistema nervoso del feto è praticamente già completato, dunque le norme andrebbero riviste già solo per questo, ma in realtà il problema è più complesso. Il motivo per cui si ritiene che la coscienza sia prodotta dal cervello è che la fisiologia del cervello sembra influenzare gli stati mentali, al punto che lesioni del cervello hanno spesso delle ricadute sulle capacità cognitive, mnemoniche, ecc. A parte il fatto che l’influenza avviene anche in direzione inversa, visto che l’attività mentale influenza lo sviluppo del cervello e le sue configurazioni elettrochimiche, bisogna sempre ricordare che quando si trova una correlazione tra due cose non è detto che il nesso sia causale, e se anche lo fosse non è banale stabilirne il verso (chi causa chi?). Anche l’autoradio quando è danneggiata restituisce in maniera distorta le trasmissioni radiofoniche, ma questo non significa che le trasmissioni siano prodotte all’interno dell’autoradio, che si limita in realtà soltanto a ritrasmetterle. Insomma, per quanto ne sappiamo la coscienza, nonostante un’evidente relazione speciale col cervello, non dipende per esistere necessariamente da questo, né deve potersi collocare realmente da qualche parte all’interno del corpo umano. Poi attenzione, perché alcune concezioni di coscienza rischierebbero di essere inutili per distinguere ciò che è umano da ciò che non lo è, essendo possedute presumibilmente anche dagli altri animali, oppure terribilmente problematiche, perché presumibilmente non applicabili a ciò che è ragionevole presumere della vita interiore di un neonato, al quale si spera non si voglia negare lo status di umano e il diritto a vivere. Si tenga anche presente che un essere umano nato, anche adulto, si può trovare in più occasioni in condizioni di coscienza ridotta o assente (in alcuni momenti del sonno, durante un coma, sotto l’effetto di droghe): in quei momenti l’individuo non è più umano ed è lecito sopprimerlo? A chi ribatte “ma quegli stati sono temporanei”, si faccia presente che anche la presunta assenza di coscienza nel concepito è temporanea, visto che questi è destinato a nascere e crescere, fino a divenire un individuo adulto.
Ma il vero punto è un altro: se anche fosse, perché l’assenza di coscienza dovrebbe consentire la soppressione dell’embrione o del feto? Perché questi non potrebbero soffrirne? Ma vale la stessa cosa per un neonato o per una persona colta in un momento di coscienza ridotta (una persona uccisa nel sonno non ha modo di dolersene, giusto?). Perché si può uccidere chi non è ancora nato ma non chi è già nato a questo punto?
Forse si ritiene che l’essere umano derivi la propria dignità esclusivamente dalla facoltà della coscienza, alla quale si attribuisce non si sa perché una particolare nobiltà, forse perché è legata all’esercizio della volontà, alla possibilità di interagire costruttivamente col resto del mondo ecc. C’è solo un problema: che tutte queste cose non caratterizzano nemmeno un neonato, quindi per coerenza si dovrebbe considerare anche questi sopprimibile. In realtà la coscienza è una funzionalità umana come un’altra, e il cervello una struttura organica come un’altra. Considerare un embrione non umano e tranquillamente sopprimibile solo perché non ha cervello e, presumibilmente, nemmeno coscienza, equivale a considerare un neonato non umano e tranquillamente sopprimibile solo perché non ha la fontanella chiusa, i denti, ecc. E non è solo un problema dei neonati, anche bambini più grandi mancano di alcune caratteristiche tipiche delle fasi di sviluppo successive: i denti sono ancora da latte, la maturità sessuale non è sopraggiunta ecc.
In realtà l’essere umano è innanzitutto un’ontogenesi, e in quanto tale passa attraverso delle fasi. Embrione, feto, neonato, bambino, adolescente e adulto sono solo diverse fasi di sviluppo dello stesso essere, tentare di definire l’essere umano cristallizzando le caratteristiche tipiche di alcune fasi e basta è arbitrario e pericoloso: con lo stesso grado di logicità e coerenza si potrebbero considerare umani e degni di tutela solo gli esseri con sopraggiunta maturità sessuale, con tutte le nefaste conseguenze che possiamo immaginare (in primis la legittimazione dell’infanticidio).

L’assenza di sofferenza
Per molti il concepito potrebbe essere soppresso perché non potrebbe soffrirne. A parte il fatto che in alcuni casi è ammesso l’aborto di concepiti ad uno stadio di sviluppo compatibili con la sofferenza fisica e forse anche psicologica, rispondiamo che allora sarebbe legittima ogni uccisione, anche di esseri umani adulti, avvenuta senza arrecare sofferenza alla vittima, il che non può essere accettato. Non è poi la capacità di soffrire che definisce l’umano o che dà particolare dignità ad esso, altrimenti una persona nata senza la facoltà della nocicezione, e magari con danni all’amigdala che le impediscono di provare le comuni emozioni negative, non sarebbe umana e potrebbe essere uccisa. Senza contare, ribadiamo, tutti quei casi in cui tali facoltà vengono meno temporaneamente (sotto anestesia per esempio).

L’alta mortalità
Secondo alcuni entro un certo lasso di tempo il concepito potrebbe essere tranquillamente abortito perché tanto ha poche speranze di vita già di suo. Questo criterio, evidentemente del tutto arbitrario, porta anche a conseguenze assurde come le seguenti: in passato, quando la mortalità infantile era elevatissima, i bambini erano meno umani di oggi ed era accettabile ucciderli, e ancora oggi in situazioni di elevata precarietà della vita (dove si verificano guerre, carestie o epidemie) le persone devono essere considerate meno che umane e possono essere uccise? Per non parlare di tutte le persone ricoverate in terapia intensiva o degli anziani! Una persona che lotta per la vita in un ospedale non sarebbe umana? A che pro allora investire tempo e risorse per tentare di salvarla?
E se un giorno la scienza medica aumentasse le probabilità di sopravvivenza del concepito sin dalle prime fasi di sviluppo questi diventerebbe magicamente umano tutto assieme?

La mancanza di autonomia
Secondo alcuni, almeno entro certi termini temporali, embrione e feto non sarebbero umani, e non sarebbe grave ucciderli, perché fuori dall’utero non sarebbero vitali. Un altro criterio evidentemente del tutto arbitrario, ma vediamo a che conseguenze disastrose conduce: se il concepito non è umano e può essere ucciso solo perché non è autosufficiente allora lo stesso ragionamento può essere esteso ai neonati, che sono al di fuori della madre ma ancora dipendenti da essa per il sostentamento, e a tutte le altre categorie che necessitano di assistenza (malati, anziani, portatori di handicap). Senza contare che, a voler essere precisi e rigorosi, effettivamente ognuno di noi, senza eccezioni, ha bisogno degli altri, perché l’uomo è un animale sociale che prospera grazie alla cooperazione tra individui, alla divisione dei ruoli, ecc. Perfino chi abbandona la società per vivere da eremita può farlo solo grazie alla società stessa, che gli ha fornito, tramite la trasmissione culturale, tutte le informazioni necessarie per vivere da soli nella natura, nonché tutti quegli spunti che hanno creato il desiderio stesso di allontanarsi dalla società. Nemmeno l’eremita è mai solo, perché nella sua solitudine si confronta di continuo con la sua voce interiore, che si è plasmata nel confronto iterato con altri uomini.

Il grumo di cellule
Una frase tipica di chi difende l’aborto è che nei primi tre mesi il concepito sia un semplice grumo di cellule. Basta la foto di un feto di 11 settimane o anche meno in realtà per mettere in evidenza come anche nell’intervallo di tempo in cui l’aborto è permesso per legge il concepito abbia già un’elevata differenziazione istologica e morfologica, e soprattutto quanto sia praticamente identico, eccetto che per le dimensioni e, in misura minore, per le proporzioni, ad un neonato.
Ma anche nelle primissime fasi di sviluppo il concepito non può essere liquidato come un grumo di cellule. Di sicuro non ha ancora sembianze antropomorfe, se il modello è quello dell’individuo umano adulto, ma stabilire l’umanità di un essere su questa base è fallace per i motivi già detti quando abbiamo contestato l’idea di definire l’uomo cristallizzandone una fase, e porta inoltre a conseguenze ridicole e pericolose: un uomo reso particolarmente deforme da un incidente o da una malattia potrebbe essere considerato non umano e quindi sacrificabile. L’apparenza non può vincere sull’essenza: ciò che non riusciamo a riconoscere a prima vista come umano si mostra tale se esaminato con strumenti più sofisticati, nel caso dell’embrione poi basta aspettare e la natura umana in esso presente si paleserà da sola. Proprio il percorso ontogenetico tra l’altro mostra chiaramente che lo zigote o la morula non sono assimilabili ad una coltura cellulare in vitro, la quale prolifica secondo piani di struttura, organizzazione e differenziazione del tutto diversi, che non contemplano la comparsa delle varie fasi dell’ontogenesi umana. Per gli stessi motivi non si può paragonare con disprezzo, come fanno in molti, il concepito ad un tumore, dal momento che questo non cresce secondo i piani organizzativi che caratterizzano lo sviluppo embrionale. Se basta la proliferazione cellulare per paragonare un tumore o una coltura in vitro ad un embrione, gli stessi elementi bastano per declassare a tumore o a coltura cellulare anche esseri umani già nati, che in fondo sono anch’essi una continua proliferazione cellulare (attenzione, perché se basta la proliferazione cellulare e il fatto di dar fastidio a qualcuno per essere considerati un tumore, un giorno potreste essere trattati come tali anche voi, nel momento in cui doveste diventare di peso, o anche solo indesiderati, per qualcuno). Ovvio che l’assurdo si risolve smettendo di considerare solo le analogie e prendendo in considerazione anche le differenze, che oggettivamente ci sono.
Comunque anche in questo caso vale il solito discorso: decidere che un embrione non è umano finché non presenta un certo grado di differenziazione istologica equivale a decidere che un bambino non è umano finché non ha la dentatura di un adulto. Non ha senso stabilire arbitrariamente che le caratteristiche tipiche di una fase dell’ontogenesi possano qualificare un essere come umano o no.

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